Biografia

Rocco Iannelli nasce a Terelle (FR) nel 1966, dove vive e lavora. Compie gli studi presso il Liceo Artistico di Cassino proseguendo con l’Accademia di Belle Arti di Frosinone.

Mostre

  • Nel 2019 è presente a Cervia con “I Mille di Sgarbi ai Magazzini del Sale ed al Palazzo della Cancelleria Vaticana a Roma con una mostra dal titolo ”No instructions for use”.
  • Nel 2018 espone a Venezia “Padiglione Europa” presso il Palazzo Albrizzi Capello.
  • Nel 2017 espone al ”Premio Pio Alferano a cura di Vittorio Sgarbi.
  • Nel 2016 espone a Genova nella galleria Saturarte al “21˚ Concorso nazionale D’arte contemporanea e alla Biennale D’Arte di Anagni.
  • Nel 2015 è invitato a Lauro (AV) dove propone le sue opere all’interno della mostra “L’arte della libertà”, anche questa curata dal prof. Angelo Calabrese. Nello stesso anno è presente al “Premio Pio Alferano a cura di Vittoio Sgarbi.
  • Nel 2014 è a Roma presso The First Luxury Art Hotel.
  • Nel 2010, sempre in seno alla collettiva Pentacromo, è a Montecassino con “Ars Ora et Labora” che proseguirà a Londra presso l’Istituto Italiano di Cultura. Nel medesimo anno è alla Reggia di Caserta con “Le parole che non passeranno”. Entrambe le mostre sono a cura del prof. Angelo Calabrese. Espone poi a Bari prendendo parte a “L’iconografia bizantina”.
  • Nel 2008 partecipa alla collettiva Pentacromo, a cura del prof. Angelo Calabrese, presso la Villa Comunale di Frosinone. Sempre nel 2008 interviene alla collettiva “Quattro notti e …più di luna piena”, al Palazzo Carlo V (BN).
  • Nel 2006 espone al Centro Internazionale d’Arte Contemporanea Castello Colonna, Genazzano (Roma). Successivamente concorre al Premio di pittura Città Nostra, Museo Archeologico Nazionale di Cassino.
  • Nel 2005 prende parte a una collettiva che coinvolge 170 artisti contemporanei in 10 sedi europee. Nel medesimo anno è presente alla VII edizione di “Immagina Arte in Fiera”, Reggio Emilia.
  • Nel 2004 aderisce alla mostra “La Bibbia”, presso la Galleria ArturArte di Nepi (VT). Poco dopo è a Dublino alla Oriel Gallery.
  • Nel 2002 è ospite del Centro d’Arte e Cultura La Tavolozza, Ancona.
  • Nel 2001 partecipa alla VI Rassegna Nazionale di Arti Visive “Pueri et Magistri”, Pianella (PE). Espone anche al Museo Interzionale di MailArt (AN).
  • Nel 1997 è presente al Palazzo Farnese di Ortona per la II Rassegna Nazionale “Giuseppe Faustino”. E di seguito al XXV Premio Sulmona (AQ) e al XXV Premio Valle Roveto (AQ).
  • Tra il 1995 e il 1996 prende parte a: VI-VII Rassegna Etruriarte Venturina (LI). Expò Arte di Bari, Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Termoli. Rassegna nel Museo Internazionale dell’Immagine Postale di Belvedere Ostrense (AN). Rassegna Ricerche Contemporanee di Pianella (PE).

Galleria

Press

Michele Ainis

C’è un’arte dei numeri? È possibile rendere visibili queste entità invisibili, è possibile trasferirle su una tela? Il lavoro di Rocco lannelli ci detta la risposta: sì, è possibile. Nelle sue composizioni, i numeri diventano segni che catturano lo sguardo, o che talvolta si celano allo sguardo, s’acquattano in penombra, si riducono alle dimensioni d’uno spillo. E l’effetto è un po’ come una vertigine, come sporgersi su un pozzo, come un’immersione nelle profondità abissali.
Le sue prime creazioni erano materiche, spesse come la plastica o la stoffa impregnate da colate di pittura, che lui dosava a strati lungo la superficie del quadro. Le ultime, viceversa, immateriali. Non ha materia il numero, parrebbe non averne neppure il segno dell’artista. C’è un elemento, tuttavia, che rende continuo il discontinuo. Oggi come ieri, lannelli tende a dipingere le forme nel momento in cui si sformano, in un prima o in un dopo rispetto alla loro manifestazione più evidente. Nei suoi quadri più remoti s’incontravano lettere slabbrate, oppure volti, figure, edifici deformati come dalla nebbia. Ora sono numeri, una folla di numeri che si riversa su ogni tela, un insieme fluido e dilagante che in ultimo annulla l’identità di ogni singola cifra. Sicché i numeri ci sono, ma al tempo stesso non ci sono. E forse è esattamente qui la cifra di lannelli: trasmettere l’assenza, attraverso una presenza pittorica puramente evocativa.

Michele Ainis

Angelo Calabrese

Chi legge un brano paesistico insegue diligentemente vicende di secoli, millenni e perdute memorie nella scrittura viva e presente, nel tempo cristallizzato dell’architettura, nei segni vistosi dell’antico senza tempo e nelle grafie minime che mani incerte custodiscono sottraendole al silenzio.
Una pagina erosa dal lento processo che ha reso sconosciuta la lingua in cui fu scritta, è simile agli habitat instabili nei quali ciò che sormonta annulla il sottostante. Ma quanta vita ferve negli agglomerati inestricabili di cause ed effetti ammantati di vegetazione come un papiro di muffe che colmano fori, tagli sdruciture di trame che un tempo furono compatte alle battiture. Restano tante pagine mute, ostili all’interprete, gelose del messaggio che non concedono all’accesso diretto del sole. In quest’ottica si precisano le opere pittoriche di Rocco Iannelli, topografo, cartografo, amanuense, archeologo dell’emarginazione che, a furia d’immaginarsi ed alimentare una superfetazione di segni interferenti e discontinui, diventa così caotica da proporsi più labirintica di una Babele di accenni di parole. La prima sulla parete fu sommersa dalle altre infittite, sicché alla fine s’avverte in quell’impasto, silente per eccesso di confusione, solo di disagio di un muro colpevole d’essere stato candida pagina in attesa di un poeta. I suoi paesaggi di messaggi d’uomini in transito, con parole al seguito, affascinano per il mistero di cui sono sovraccariche.
Se il presente legge l’antico, confortano a sperare. Nel tempo degli uomini umani forse un ermeneuta li attraverserà con grammatica germinativa di chi sa filare i colori per verificare il costante, anche se perennemente fratto, sentiero di buona novella che invita al bene della sapiente Pace.

Angelo Calabrese

Giorgio Falossi

Vorrei cominciare con una frase di Jorge Luis Borges per meglio comprendere la pittura di Rocco Iannelli: “Non sai bene se la vita è viaggio, se è sogno, se è attesa, se è un piano che si svolge giorno dopo giorno e non te ne accorgi se non guardando all’indietro. Non Sai se ha senso. In certi momenti, il senso non conta. Contano i legami” Una pittura intensa, che potremmo anche definire concettuale, ma che si fa subito capire con queste fasce, queste aderenze su cose e persone, non strette ma formative, non geometriche ma informali. Spingono alla mediazione, alla esaltazione di tutto ciò che può essere intuizione alla conoscenza, fantasie che divengono forme. Esprimono momenti di forza estrema, disperata. Anche paure e forse bellezza. Una pittura in cui la realtà tramuta le sue conoscenze in essenze di difficile decifrazione, con l’approdo di elementi estranei e instabili. Il colore tende al nero con aloni di giallo e di celeste, luci ed ombre danno vita a giochi bizzarri tramutando le immagini in tumultuose impressioni, in ritrovamenti di memoria persi nel passato dei tempi.

Giorgio Falossi

Rocco Zani

Se pur celato da una ricognizione palesemente cromatica, la ricerca di Rocco Iannelli pare sostare in una sosrta di spazialità incompiuta in cui le tracce divisionali si ricompongono per latitudini e longitudini dettando solarità improvvise. Il suo lavoro sembra oltremodo sollecitato da una marcata “appartenenza al luogo”, ovvero a quella mediterraneità millenaria le cui percorrenze procedono ininterrotte pur mutando, per mescolanze e decodificazioni progressive, lo status originario. Il luogo dunque, con le inafferabili tangenti delle diciture emozionali, deboli sommatorie delle confittualità. E nel luogo la luce, negando ad essa il ruolo di archetipo del chiarore ordinario. Una pittura dell’armonia contradittoria quella di Iannelli il cui equilibrio segnico trova il suo epilogo in una distribuzione apparentemente -volutamente- disorganica dei frammenti tonali. Il segno devastante e la pressione materica del coloro ricompongono il perimetro della storia. E di questa riaffiorano le periferiche lacerazioni, i microcosmi narrativi, le certezze minimali, il dubbio ricorrente.

Rocco Zani

Antonio Risi

Per Rocco Iannelli, la luce naturale rivela, nella sua mutevolezza, le increspature delle superfici, che presentano graffi e lacerazioni. I lavori dell’artista dovrebbero essere osservati alla luce tremolante di una torcia, come quelle che illuminavano i graffiti preistorici. Questi segni tormentati, di forte impatto interiore, presentano una casualità soltanto apparente, che rivela, indubbiamente, l’urgenza ed irruenza dell’ispirazione. L’artista persegue, tuttavia, da tempo, una ricerca razionale incentrata sulle origini e sul significato della scrittura. Il segno scritto può essere posto, senz’altro, in relazione con la luce in quanto, per suo mezzo, la luce intellettuale della conoscenza si è diffusa dappertutto, anche meglio della stessa luce solare. La parola scritta, impaginata nei libri, incolonnata sui giornali, fluttua oggi, eterea, nei luminosi spazi virtuali dei computer e naviga, senza peso, su internet. Ma tutto ciò non sarebbe stato possibile, senza il primo segno tracciato oziosamente dal dito, a imitazione inconscia d’altri segni, nel ricordo della giornata di caccia o di raccolta dei frutti selvatici. Se l’uomo preistorico inventò la scrittura osservando le forme della natura e ricavando da queste un’astrazione lineare che poteva essere ripetuta, anche Iannelli trova nei segni della natura, addirittura nelle linee d’ombra accentuate dalla luce, un significato razionale, che lo porta, direi, ad una costruzione degli effetti di luce sulla materia. Lo vediamo nel segno fortemente strutturato, modulare, capace di imprimere alla luce vibrazioni armoniose.

Antonio Risi

Angelo Calabrese

La materia è luce consumata. Abbiamo appreso a datarla con l’ausilio di sofisticati strumenti scientifici e dovunque abbiamo potuto accedere agli scritti che, per distanza temporale e mutare sorti e negli umani eventi, diventano inaccessibili senza immani sforzi di decifrazione, abbiamo incontrato la veggenza del sapiente e il rimpianto del passato. Tra i primi messaggi affidati alla parola, che nell’etimo greco parabolè significa l’insufficienza a dire, a meno che non acquisti pienezza poetica, abbiamo incontrato la nostalgia del passato, la lode del buon tempo antico, il rimpianto. Altre pagine le traviamo ostili a svelare quello ch’è celato nei segni intraducibili. In quelli abbiamo anche potuto ipotizzare che si celino sapientemente profondissimi significati. Rocco Iannelli inventa, produce e riproduce fatiscenze di pareti infittite di scrittura. Ha voluto risvegliare l’anima dei secoli nelle pietre e nei documenti antichi consunti con le parole definitivamente perdute nella scrittura sbiadita e decaduta oltre l’impronta. Nelle sue opere brulica una Babele che affascina, fa pensare, immaginare, meditare sul transito inclemente del tempo che tutto cancella e sulle Parole che non passeranno. Il monito è di forte valenza: le pagine che derivano dall’intelletto agiscono su altri intelletti, alla stregua delle parole che addirittura, nel tempo, mutano di significato e di senso. La Parola evangelica proviene dall’essere del Figlio dell’Uomo; agiscono sul nostro essere. E’ evidente: un sapere evoluto scaccia e annulla il precedente, così i libri invecchiano prima che ne siano disperse le pagine, che diventano curiosità per una ricerca a ritroso. Così pure il lavoro si evolve per aggiornati strumenti, ma la preghiera che lo santifica porta all’essere nel divenire. Solende e conforta, è diretta, aiuta a comprendere come si giunga alla Verità.

Angelo Calabrese

Contatti

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